Che cosa sarebbe successo se il 24 febbraio scorso gli Stati Uniti non fossero intervenuti per coordinare una risposta globale contro l’aggressione russa all’Ucraina? Che cosa sarebbe successo se i paesi europei non avessero superato antiche ritrosie, atavici rancori e vecchie posizioni? Che cosa sarebbe successo se il mondo si fosse girato dall’altra parte, lasciando libero Putin di sgozzare gli ucraini?
Sarebbe successa una cosa molto semplice: nel giro di una notte saremmo balzati indietro di un secolo. Gli europei, divisi e impauriti, probabilmente sarebbero corsi a Mosca a trattare una resa; sarebbero forse riemersi dal passato quei vecchi blocchi (quello tedesco, quello giapponese, quello inglese e quello americano) che avevano gettato il mondo nella Seconda guerra mondiale; e sicuramente le coscienze dei popoli liberi ne sarebbero uscite distrutte.
Nel frattempo, quell’ordine internazionale liberale che era stato costruito proprio per rompere quei blocchi, sarebbe collassato e noi europei ci saremmo ritrovati inermi di fronte al ritorno della violenza.
Sullo slancio della campagna ucraina è probabile che la Russia, preso atto dell’inazione e inanità dell'Occidente, avrebbe puntato sulle repubbliche baltiche dopo aver annesso senza sparare un colpo la Bielorussia e nel giro di qualche settimana avrebbe completato la sua restaurazione imperiale. A quel punto l’Europa, nella quale per anni si erano minate le fondamenta manipolando l’opinione pubblica e ponendo un cappio intorno al collo della sua economia attraverso l’arma delle forniture energetiche, si sarebbe spaccata e frammentata, candendo nell’orbita di Mosca. Putin così avrebbe conquistato con i carri armati le ex repubbliche sovietiche e finlandizzato tutta l’Europa con la sola arma dell'intimidazione.
A Pechino avrebbero colto il messaggio che veniva dall’Europa e avrebbero avuto buone ragioni di credere che in Asia si potesse replicato lo stesso copione senza correre troppi rischi.
Era scontato che ci fosse una reazione del genere da parte occidentale? Era scontato che Biden dopo il ritiro dall'Afghanistan e dove aver individuato nel Pacifico il teatro più importante reagisse? Era scontato che l'Unione europea facesse quello che non aveva mai fatto nella sua storia? Niente affatto, anzi tutto lasciava pensare il contrario. A Kiev c’era un comico al vertice del sistema politico. In Francia Macron era in campagna elettorale, a Berlino la Merkel non c’era più e in America Biden sembrava in enorme difficoltà, anche l'Italia di Draghi sembrava più debole dopo le elezioni per la Presidenza della Repubblica.
C’è di più, su Stroncature più volte, anche prima del ritiro afgano, avevamo manifestato una preoccupazione e cioè che non ci fosse rimasto nessuno a governare l’ordine liberale internazionale. Non l’Europa, che si ritraeva da ogni responsabilità globale, non la Cina che sembrava avere più a cuore la costruzione di un’area egemonica a livello regionale (più o meno ampio), non gli Stati Uniti che sembravano di nuovo accarezzare sogni di isolazionismo. La preoccupazione era che l'ordine internazionale non fosse governato, con, per giunta, il cuore del sistema, vale a dire gli Washington che voltavano le spalle all’ordine che essi stessi avevano creato, così come aveva fatto la Gran Bretagna con la Pax Britannica.
A settembre in un articolo dal titolo Ci crediamo ancora?, ci si chiedeva questo:
"Gli Stati Uniti e l’Europa, credono ancora nei liberi commerci come strumento per la creazione di quella libertà economica senza la quale non può esistere nemmeno la libertà politica? Credono ancora che l’aspirazione alla libertà sia connaturata in ogni essere umano e che la democrazia liberale sia la migliore soluzione istituzionale per organizzare le conoscenza diffuse in ogni essere vivente, correggere gli errori e dare a tutti la libertà e la possibilità di inseguire la propria idea di felicità?
"Sono domande semplici, ma se la risposta è negativa, se i liberi commerci lasciano il passo al protezionismo, anzi a una nuova forma di colbertismo (si veda la questione dei sottomarini con l’Australia) e se l’esportazione della democrazia diventa una parola impronunciabile, allora il problema non è a Pechino, né a Mosca, ma a Washington e a Bruxelles. Se non ci crediamo più noi, perché dovrebbero crederci gli altri?"
Sembrava di vedere svolgersi sotto i propri occhi un vecchio copione. Un ordine internazionale interrelato e aperto collassa e sulle sue macerie si formano una serie di blocchi regionali che a un certo punto iniziano a competere tra di loro, prima economicamente e poi militarmente. Di qui la Seconda guerra mondiale.
La reazione americana ed europea, niente affatto scontata conviene ripeterlo, ha impedito che la storia subisse una tremenda accelerazione verso il passato, con la improvvisa creazione di nuovi continenti geostrategici. Ma il pericolo non è ancora stato sventato. Il pericolo che l’ordine liberale collassi e che ritornino i vecchi blocchi e si ripeta quel vecchio copione esiste ancora.
Se infatti la sfida più immediata è bloccare l’avanzata russa e non consentire che si crei il precedente di una nazione che con i carri armati modifica a proprio favore i confini nazionali, la sfida più grande è quella di impedire che l’ordine globale si frantumi, che lo scontro tra grandi potenze ritorni a essere la normale grammatica delle reazioni internazionali e che il mondo nel XXI secolo riviva la storia degli anni Trenta del XX secolo.
Si tratta di ricominciare a vedere l'economia come un mezzo e non come succede oggi come un derivato finanziario scollegato dalla vita delle persone e delle comunità che lavorano. Libertà ed equità sociale.
La liberaldemocrazia, la nostra identità occidentale, ha ancora una pecca all'interno ed all'esterno che dovrà eliminare. All'interno dovrà pensare un sistema giudiziario realmente neutrale ed efficiente, all'esterno dovrà incrementare e ripulirlo da intrusi, un sistema di difesa(NATO) che protegga la sicurezza del vivere civile degli occidentali da qualsiasi potenza oligarchica militare esistente sul pianeta. Il resto sono chiacchere culturali da salotto.