Credo che non ci siano dubbi sul fatto che la Cina sia cresciuta aprendosi al mondo e che lo straordinario sviluppo economico e sociale sia il prodotto di questa apertura al mondo: agli investimenti stranieri, alle conoscenza prodotte dalle grandi società aperte (Europa, Stati Unit e Giappone), alle tecnologie che quelle conoscenza hanno generato. Eppure non sembra altrettanto evidente che chiudendosi, come sta facendo, la Cina potrebbe perdere tutto quanto è stato acquisito. Il che accade perchè c’è probabilmente qualche equivoco di fondo sulla natura del boom cinese. Conviene allora fare qualche riflessione.
Lo straordinario boom della Cina è in realtà un boom europeo e americano. Nulla sarebbe accaduto in Cina senza gli investimenti diretti esteri degli Stati Uniti e dei paesi europei; nulla sarebbe accaduto senza il trasferimento tecnologico che questi investimenti hanno garantito; nulla sarebbe accaduto se Europa e Stati Uniti non avessero aperto i loro immensi mercati interni alla merci cinesi (che spesso non sono nemmeno cinesi, ma parti di produzione di prodotti di multinazionali occidentali); e nulla infine sarebbe accaduto in Cina se europei e americani non avessero chiuso tutti gli occhi che si potevano chiudere per ammettere la Cina nel WTO e per far passare tutti i tipi di dumping possibili e immaginabili che il paese ha messo in atto.
Ora, se la Cina avesse utilizzato la ricchezza prodotta per poter dare avvio alle riforme politiche, allora avrebbe creato un sistema istituzionale in grado di garantire ai propri cittadini quella libertà che è l’unica vera fonte della ricchezza delle nazioni e che avrebbe potuto garantire al paese una crescita auto propulsiva.
Al contrario, la Cina ha fatto il più grande errore della sua storia, ha usato la grande ricchezza piovuta sul paese per rafforzare la macchina di controllo del partito comunista e il suo potere sul paese. Rafforzando così quel dispotismo asiatico che è all’origine della millenaria povertà del paese. A Pechino in questi anni di presidenza di Xi Jinping non hanno fatto altro che ricostruire una Megamacchina, che ha il monopolio del potere politico-militare, il monopolio della produzione materiale, il monopolio della produzione spirituale.
I risultati sono evidenti a chi vuole guardare. Sino ad ora la Cina è cresciuta utilizzando le tecnologie mature trasferite tramite gli investimenti diretti esteri, il che l’ha posizionata a valle della catena del valore. Per poter risalire la catena del valore e non essere esposta ai salti tecnologici fatti da altri, la Cina dovrebbe poter produrre da sè tecnologia nuova, ma non può farlo perché il suo sistema istituzionale frena la libertà e la creatività. Ecco perché sono costretti e tentare di acquisire tecnologia (con ogni mezzo) da quelle società aperte che hanno costruito i loro sistemi istituzionali (Stato di diritto e stato sociale) intorno all’esigenza di garantire a tutti la più ampia libertà possibile.
In sintesi, il decoupling (come la trappola del reddito medio), vale a dire lo sganciamento dell’economia cinese da quella americana (e cioè la fine della Chimerica di Nial Ferguson) è possibile se il paese fa delle riforme politiche. Altrimenti farà la fine della colomba di Kant, che pensava che fosse l’aria a frenarla, e non si rendeva conto che era grazie all’aria che stava in volo. La stessa cosa vale per la Cina, che non si rende conto che sta in piedi grazie al sistema liberale di cui è fatto l’ordine internazionale e grazie ai frutti delle libertà occidentali (ricerca, innovazione, creatività) con cui le società aperte occidentali la nutrono.
Per concludere, son convinto che i limiti strutturali della potenza cinese verranno presto al pettine, e la sua crescita economica continuerà a calare. A meno che il Paese non si liberi della struttura di potere del partito comunista che lo soffoca e che lo porterà a fondo.