C’è un filo rosso che lega le analisi dei più attenti commentatori politici ed è l’idea che la crisi del sistema istituzionale ha una sua causa causarum, e cioè l’inconsistenza dei partiti, vacue sigle che non hanno alcun aggancio alle grandi culture politiche che hanno fatto la modernità. Sabino Cassese, con efficacia, sostiene che “le forze politiche sono aggrappate allo Stato quando dovrebbero essere radicate nelle società”. Guido Crainz parla dello “stato disastroso delle forze politiche”. Venanzio Postigione giustamente scrive che per i partiti “prima delle alleanze, prima degli stessi programmi, c’è una questione gigantesca che si chiama identità”. E Gaetano Azzariti individua il problema “nell’estrema fragilità del Parlamento”. Il che consente di collegare la crisi dei partiti con la crisi del Parlamento, e questa conduce direttamente alla crisi della stessa Repubblica. L’analisi è assolutamente condivisibile, ma forse è utile chiedersi anche il perché di questo scollamento tra il corpo, il partito come comunità, e l’anima, la struttura teorica che un tempo fu.
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